Una rivista autorevole e partecipata

Sulla crisi finanziaria nella quale ci troviamo ancora immersi si sono versati fiumi di inchiostro: sulle cause, sui rimedi, sulle possibili vie di uscita. Poca attenzione, crediamo, è stata data alla valutazione delle conseguenze drammatiche che essa ha sui ceti deboli dei Paesi industrializzati e soprattutto su quelli dei Paesi che una volta venivano definiti “in via di sviluppo”.

I primi dati disponibili sull’impatto concreto della crisi sono preoccupanti. Secondo il Comitato per lo Sviluppo della Banca Mondiale, 90 milioni di persone stanno scendendo sotto la soglia estrema di povertà (meno di un dollaro al giorno disponibile) ed esiste il rischio concreto di dover far marcia indietro sui progressi faticosamente ottenuti per raggiungere gli Obiettivi del Millennio lanciati dall’ONU, tra i quali il dimezzamento della povertà nel mondo entro il 2015. Nel frattempo sono ripartite con forza le attività di prestatore della Banca Mondiale, che ha già disposto fondi per un valore di 33 miliardi di dollari nel 2009 e prevede di erogarne il doppio nei prossimi due anni. Un altro fantasma torna ad affacciarsi sulla scena internazionale: il debito estero di Paesi che negli ultimi 15 anni, con grande fatica e attraverso diverse formule, erano riusciti a cancellarlo e che oggi vengono risucchiati in un sistema dalle conseguenze nefaste. Il Fondo Monetario Internazionale, l’altro tassello del sistema creditizio multilaterale, ha valutato che le perdite del sistema finanziario internazionale assommino a 4.100 miliardi di dollari (2.700 dei quali soltanto negli Stati Uniti), mentre gli aiuti necessari a tamponarle vengono valutati in 1.100 miliardi. Per fare un paragone, le perdite equivalgono al 6,7% dell’intera ricchezza mondiale prodotta nel 2008, oppure al Pil di Francia e Italia messe insieme. Le “vittime” non sono state però soltanto gli Stati Uniti; secondo il presidente del Consiglio dell’ONU per i Diritti Umani, il nigeriano Uhomoibhi, il 40% dei Paesi in via di sviluppo è risultato fortemente esposto alle conseguenze di tracolli finanziari e in 37 dei 53 Paesi africani e 17 dei 52 asiatici si sono verificati aumenti netti dei livelli di povertà. In particolar modo hanno sofferto i Paesi nei quali le rimesse degli immigrati incidono pesantemente nella formazione del Pil, come il Tagikistan, l’Honduras, El Salvador e il Messico.

Nei Paesi industrializzati la disoccupazione, che ha colpito per primi i lavoratori immigrati, ha ridotto sensibilmente la massa di dollari o di euro che ogni mese vengono trasferiti a sostegno del reddito delle famiglia d’origine. Nel piccolo El Salvador, il governo ha dovuto fare ricorso a una linea di credito del FMI di 800 milioni di dollari statunitensi per evitare il default. Il Messico, doppiamente colpito in quanto le sue esportazioni sono assorbite per il 90% dagli Stati Uniti, dove vivono anche 16 milioni di messicani immigrati, ha ottenuto dal FMI il maggior prestito mai erogato nella storia di questa istituzione finanziaria: ben 47 miliardi di dollari, che le autorità messicane dichiarano di non volere utilizzare se non come elemento di stabilizzazione della moneta nazionale. La situazione è quindi complessa e poco analizzata nella sua totalità. Dopo il dibattito delle prime settimane sulle ragioni profonde di questa situazione, dal modello di consumi alla speculazione, dalle bolle costruite sul mattone alla difficoltà dei piccoli e medi soggetti economici a reperire credito, sono seguiti il silenzio e la voglia di dimenticare in fretta per ricominciare. Oggi tutti anticipano la fine della crisi per “ripartire”. Ma verso dove e come?

In questo primo numero di Dialoghi.info abbiamo analizzato l’odierna crisi da diversi punti di vista cercando sempre di fornire elementi interpretativi perché ciascuno possa formare le proprie idee. Non è impresa facile vista la complessità dell’argomento, ma vogliamo provarci. La nostra rivista online prevede il contributo dei lettori: registrandosi, chi legge può spedire i propri elaborati sul tema, i quali saranno vagliati dal Comitato dei Garanti e pubblicati, perché crediamo che nessuno debba essere escluso da dibattiti come questo; anzitutto perché è una situazione nella quale tutti abbiamo un ruolo da giocare, e anche perché pensiamo che la crisi “non finirà” facilmente. Molte delle sue cause sono ben radicate nell’economia-mondo e nella nostra cultura dei consumi.

I numeri di Dialoghi.info rimarranno “aperti” agli aggiornamenti dei lettori e dei redattori diventando un forum tematico. La nostra aspirazione è riuscire a costruire una rivista che sia al tempo stesso autorevole e partecipata, dove la barriera tra redattore e lettore si possa infrangere a partire da una comune sensibilità, quella di tentare di interpretare le grandi dinamiche internazionali non come esercizio accademico, ma nell’ottica di una ricerca di idee, proposte e stimoli per le nostre scelte quotidiane di cittadini.

Alfredo Somoza
Direttore