Un mondo in continua transizione

di Alfredo Somoza
Direttore di Dialoghi.info

Alla fine del 2018 il mondo si presenta con grandi chiaroscuri e con tanti punti interrogativi in più rispetto agli anni scorsi. Le tendenze già in atto si stanno consolidando. In diverse regioni dell’Occidente cresce il malcontento per le mancate ricadute della globalizzazione, che non ha mantenuto la promessa di prosperità per tutti, e si riducono gli spazi di manovra concessi alle imprese multinazionali, che all’alba della globalizzazione degli anni ’90 erano illimitati. Sono emersi gli aspetti contraddittori della totale liberalizzazione dei flussi di investimenti e di merci, che ha avuto un impatto sicuramente positivo in Asia e in alcune zone dell’Occidente, ma che ha anche eliminato interi comparti produttivi, senza che ai territori colpiti dalla deindustrializzazione venisse offerta una seconda chance, una possibilità di creare lavoro in altri settori.
Associata a questo fenomeno abbiamo vissuto la recrudescenza di conflitti sanguinosi, come quello siriano e quello afghano: guerre che, insieme ai regimi totalitari africani, hanno generato ondate massicce di profughi verso l’Europa. Una situazione simile, anche se su scala minore, si è verificata in America Centrale, con la fuga da Paesi praticamente falliti, come Honduras o El Salvador, di uomini e donne cui resta solo la speranza di raggiungere gli Stati Uniti.

In questi tempi così difficili sarebbe stato opportuno pensare e sviluppare nuove politiche multilaterali, necessarie anche per affrontare la maggiore sfida planetaria, il cambiamento climatico. Ma la politica si è chiusa in se stessa. Prevalgono visioni nazionali, sovraniste, xenofobe, di arroccamento e di autodifesa. La paura avvertita dai ceti deboli, che si rendono conto di non avere un ruolo nell’economia globale, anziché essere alleggerita è stata strumentalizzata per farla diventare consenso. Orbán, Trump, Kurz, Salvini, Bolsonaro sono solo alcuni dei politici che hanno conquistato successi soffiando sul fuoco, ma una volta arrivati al potere si stanno dimostrando inadeguati alla complessità del ruolo. La società civile resiste come ultimo bastione a difesa dei diritti delle persone e dell’ambiente, ma è stata messa sotto attacco. In questi mesi le ONG tutte sono state dipinte come “trafficanti di carne umana” perché impegnate nel salvataggio di profughi nel Mediterraneo. Una funzione in realtà sancita dal diritto internazionale, oltre che da quel senso di umanità che dovrebbe essere sempre in capo agli Stati e che ora viene meno, con il conseguente tragico aumento delle morti in mare. Anche l’accoglienza e il lavoro di chi cerca di ridurre le distanze e le incomprensioni all’interno della nostra società, diventata multietnica, sono fortemente osteggiati. Con l’aggettivo “buonista” si liquida qualsiasi azione tenda a integrare e non a separare, qualsiasi pensiero che inviti a capire la complessità anziché a discriminare.

Sono tempi bui da questo punto di vista, ma anche di speranza, perché nel frattempo alcune cose si stanno comunque muovendo in una direzione diversa. Sono stati fatti passi da gigante nella comprensione dei fenomeni che mettono a rischio l’ambiente e si moltiplicano le idee per ridurre gli impatti. È cresciuta tra i giovani la consapevolezza che il loro futuro è già qui, in Europa, insieme agli altri popoli europei e a chi è arrivato da poco. Si sente il maggiore protagonismo di Paesi fino a ieri marginali, che hanno reso più plurale la scena nazionale.
Le note di vero ottimismo sono poche, ma come sempre la nostra rivista spezza una lancia a favore della sfida di costruire un futuro migliore. Il nostro contributo specifico è leggere e provare a spiegare le linee di tendenza della politica internazionale, perché senza una visione d’insieme e un approfondimento attento si rischia di cadere nella trappola della società mediatica che meno ci piace: quella del giudizio lapidario, espresso senza competenza, che spessissimo non ha alcun fondamento nella realtà. Ogni nostra fonte è verificata: non piegheremo mai la realtà per dimostrare una nostra tesi. Sono i nostri lettori, liberi da manipolazioni, che devono formarsi un proprio giudizio sul mondo in cui viviamo, e poi cercare di renderlo sul serio una casa comune.