Mi si è ristretto il mondo

Ciò che sta andando in crisi, allora, è il concetto stesso di globalizzazione così come lo intende il WTO, cioè di un mondo totalmente aperto e senza ostacoli agli scambi di merce e servizi (ma non di persone, ovviamente). Anche se molto è stato fatto in direzione della globalizzazione, questa utopia sta definitivamente cedendo sotto i colpi dei neo-protezionisti. Quelli insospettabili, come Barack Obama, e quelli palesi, come Putin o la Cina. 

In questo clima vanno lette le difficoltà che hanno portato alla paralisi non solo del TTIP, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra Stati Uniti ed Europa, ma anche di altri accordi già sottoscritti e non ancora ratificati, come il CETA tra UE e Canada e il TPP tra Stati Uniti e Paesi del Pacifico. È figlia di questo clima anche la voglia di autonomia da Bruxelles manifestata da molti Stati europei: dalla clamorosa Brexit inglese al malessere serpeggiante nei Paesi dell’Est. Un sentimento che trova il suo apice nel programma economico di Donald Trump: fine di tutti gli accordi commerciali, imposizione di barriere tariffarie ai prodotti di importazione, strangolamento economico della Cina. 

Insomma, le merci vengono percepite come straniere perché danneggiano la produzione nazionale, proprio come le persone migranti rovinerebbero l’armonia delle società del benessere. Davanti a fenomeni che non si riesce a decifrare, ancora una volta l’insicurezza sociale diffusa trova sfogo e “spiegazione” nell’autarchia, nella xenofobia, nell’isolazionismo. Il sogno della globalizzazione che risolve tutto degli anni 2000 sta andando velocemente in soffitta, ma ciò che sta arrivando al suo posto assomiglia a un incubo. Forse non sbagliavano i reduci di Porto Alegre quando, per tempo, invitavano a lavorare per un altro mondo, per un’altra globalizzazione possibile.