Da oltre mezzo secolo una delle certezze più salde nelle relazioni internazionali era che nella Cuba post-rivoluzionaria comandavano i Castro. Ora le cose stanno per cambiare, anche se non del tutto: il dimissionario presidente Raúl Castro resterà infatti a capo del Partito Comunista e continuerà a controllare le forze armate, i due pilastri della Rivoluzione.
Cuba, una piccola isola caraibica, è stata un gigante politico per il peso che la Rivoluzione del 1959 di Fidel e Che Guevara ha avuto sull’America Latina e su tutto il mondo, ma anche per la sua vicinanza geografica al gigante statunitense. La Cuba dei fratelli Castro è stata la zanzara fastidiosa che ha punzecchiato l’impero dall’interno del suo cortile di casa.
Per questo protagonismo Cuba ha dovuto pagare il prezzo dell’alleanza di ferro con l’Unione Sovietica, un’alleanza che l’avvocato liberal-democratico Fidel Castro è stato costretto ad accettare, ma che ha sempre interpretato alla cubana. Permettendo ad esempio che continuassero a “funzionare” regolarmente la Chiesa cattolica, la santeria afrocubana e la massoneria. L’ideologia del castrismo, infatti, si è ispirata più alle idee del poeta-patriota José Martí, che combatté contro gli spagnoli alla fine dell’800, che al marxismo-leninismo.
In sostanza, il vero collante della Rivoluzione non è mai stata la dimensione ideologica, quanto piuttosto l’aspirazione all’indipendenza dal potente vicino del Nord.
Le gesta di Fidel Castro hanno messo a nudo le contraddizioni, percepite dalla grande massa dei latinoamericani, tra i grandi ideali e gli slanci della guerra anticoloniale dell’800 e le pesanti ingiustizie sociali e politiche nelle quali continuava a versare l’intera America Latina non più assoggettata alla Spagna, ma sotto la pesante influenza degli Stati Uniti. Sono state dunque le istanze di giustizia sociale – e non il marxismo-leninismo – a rendere Fidel Castro e la Rivoluzione il primo movimento politico globale della modernità che ha saputo sfruttare i media e la cultura per creare consenso.
Come disse lo stesso Fidel Castro nella Dichiarazione dell’Avana del 1960: “non offriamo agli uomini soltanto libertà ma anche pane, non offriamo agli uomini solo pane, ma anche libertà… Noi non siamo né di destra né di sinistra né di centro. Noi vogliamo andare oltre rispetto a destra e sinistra”. Quale sia poi il concetto di libertà in un Paese nel quale l’informazione e la politica sono monopolio dello Stato e di un partito unico è altro discorso. Un Paese nel quale il dissenso politico, e a lungo anche l’omosessualità, sono stati perseguitati duramente.
I Castro sono stati implacabili nel gestire il potere impedendo l’emergere di altre figure che potessero fare ombra soprattutto a Fidel, ma anche a Raúl, che nel 2006 ha ricevuto l’investitura come presidente direttamente dal fratello.
La transizione, indolore, è avvenuta in una situazione di tensione perché Cuba, anche a causa dell’embargo e dei madornali errori politici di Washington, si è sempre considerata, a torto o a ragione, un Paese in guerra. Per quanto complessa e travagliata, l’azione condotta da Raúl Castro aveva praticamente ottenuto da Obama, grazie anche alla mediazione di papa Francesco, la fine dell’embargo e il beneplacito a un modello di stampo cinese (modello che Fidel non amava particolarmente). Ma con Donald Trump alla Casa Bianca le carte si sono rimescolate ancora e tutto si è fermato.
Alcuni successi certi di quest’ultimo periodo della fase castrista sono stati nel 2004 la creazione dell’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe) insieme a Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua e altri Stati dei Caraibi: ciò ha garantito a Cuba il rifornimento di greggio venezuelano a prezzo politico in cambio di assistenza militare, sanitaria e scolastica, uno scambio che nessun altro produttore avrebbe mai accettato. Nel 2010 si è avverato invece il sogno cubano di creare una comunità dei Paesi americani alternativa all’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) con sede a Washington, e che nel 1962 aveva espulso l’isola caraibica per la sua adesione al blocco sovietico. Altro merito di Raúl è stato il consolidamento dei rapporti con la Cina, oltre al mantenimento di quelli privilegiati con la Russia. Entrambi i Paesi difendono le cause cubane in ambito internazionale e sono forti investitori nell’economia dell’isola.
La Cuba che Raúl si appresta a lasciare, anche se a metà, è un Paese colto e istruito, con buoni medici e insegnanti, con incredibili artisti e musicisti, con una grande sete di apertura e di rinnovamento. È anche un Paese sospeso nel vuoto, con un grande passato ma con un futuro incerto. A Cuba stiamo assistendo a uno spettacolo raro: il passaggio del potere, senza strappi né drammi, da una famiglia che lo deteneva da oltre mezzo secolo a una nuova generazione di politici. Si tratta di un altro indicatore dell’eccezionalità cubana, che però non può spiegare da sola la complessità della politica e l’importanza di questo piccolo Stato.
La Cuba della Revolución probabilmente finisce qui: il sogno dei fratelli Castro e dei barbudos viene consegnato alla Storia come una pagina imprescindibile del ’900.