Global Cina

«Che vi piaccia o no, l’economia globale è il grande oceano da cui non si può sfuggire. Qualsiasi tentativo di interrompere il flusso di capitali, tecnologie, prodotti, industrie e persone tra le economie, per canalizzare le acque nel mare di nuovo in laghi isolati e torrenti, non è possibile». Parola di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, al recente vertice di Davos. È uno strano ruolo quello recitato oggi dalla Cina del “grande balzo”, passata da Paese marginale e poverissimo a grande protagonista della produzione e del commercio internazionale senza aver mai cambiato il suo assetto politico. In tempi di ritorno ai protezionismi − anche se per ora solo a parole − la Cina rivendica con orgoglio il cammino compiuto negli ultimi trent’anni, nei quali ha riformato il suo mercato sfidando la globalizzazione e accettando le regole dettate dall’Occidente. Un percorso in realtà pieno di ambiguità, e lungo il quale le polemiche non sono certo mancate. La Cina, infatti, è stata più volte accusata di sfruttare tutte le leve possibili per affermarsi sui mercati esteri, dalle sovvenzioni dirette e indirette alle sue imprese fino al dumping vero e proprio, senza dimenticare le manovre sul cambio per mantenere basso il costo della moneta locale. Nulla di nuovo: sono gli stessi strumenti adoperati per oltre un secolo dalle potenze occidentali di vecchia industrializzazione, quelle stesse potenze che ora − pur senza aver mai rinunciato del tutto a utilizzarli − li rinfacciano puntualmente a Pechino. L’appellativo di “fabbrica del mondo” che è stato affibbiato alla Cina postmaoista oggi non risulta più tanto veritiero, nel senso che il gigante asiatico rimane sì il Paese con la maggiore capacità industriale installata, ma da anni sta a sua volta delocalizzando la produzione in altri Stati asiatici per specializzarsi sempre più in alta tecnologia e sviluppare il settore terziario e il mercato interno. Anche per questo le dichiarazioni pro-global dei massimi leader cinesi non sono politicamente neutre, a differenza di quelle che siamo abituati a sentire dai responsabili di vari organismi internazionali. La Cina ritiene che nelle relazioni commerciali e finanziarie internazionali ci sia il rischio di un ritorno al passato, non solo perché manca una solida governance dell’economia mondializzata, ma anche perché a livello globale non si prendono in considerazione né le diseguaglianze tra gli Stati né quelle presenti all’interno di ogni singolo Paese. La via cinese alla globalizzazione, infatti, mantiene colorature in qualche modo progressiste, per quanto in una cornice di pura competizione tra gli Stati.  Pechino, che nel primo trimestre del 2017 ha segnato il migliore dato di crescita dal 2015, più 6,9% di crescita del PIL su base annua, teme che i giganteschi attivi accumulati nei confronti degli Stati Uniti, pari a circa 350 miliardi di dollari nel 2016, siano a rischio: per questo tenta di correre ai ripari rilanciando il ruolo del WTO e di quelle regole liberiste che con fatica ha accettato, e che ora dovrebbero essere una garanzia rispetto alle chiusure dei mercati annunciate da vari Paesi, Stati Uniti in testa.  Nei tormentati rapporti tra Cina e USA non sarà indifferente lo sviluppo della crisi coreana. Se la Cina riuscirà a esercitare il suo ruolo di potenza regionale nei confronti dell’“alleato scomodo”, come Washington le sta chiedendo in queste ore, probabilmente sarà ripagata. Se invece la Corea del Nord, come qualche analista sostiene, dovesse risultare ormai fuori controllo e gli USA dovessero trovarsi ad agire da soli, le cose si complicherebbero e di molto: il conto di quanto si spenderà per risolvere il problema nord-coreano sarà presentato sicuramente alla Cina. E questa mossa potrebbe essere molto pericolosa, perché una guerra commerciale potrebbe dare il via a una guerra finanziaria. Con la Cina che immette sul mercato una parte del debito statunitense in suo possesso, colpendo il dollaro. Insomma, sarà questa grande partita a scacchi tra i protagonisti della globalizzazione di fine ’900 a disegnare quella del XXI secolo. Questa volta però le regole non saranno scritte da un solo protagonista: il mondo è profondamente cambiato, e citando ancora Xi Xinping «nessuna difficoltà, per quanto scoraggiante, fermerà l’umanità nella sua crescita». Per “umanità” il leader cinese intende soprattutto il suo Paese. E chi può dargli torto?